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21 Maggio 2021 - Insediamento all’estero di una PMI: costituzione di una società controllata o di una Branch?
FABRIZIO CONTIN
Dottore Commercialista & Revisore Legale

Uno degli argomenti che sono spesso oggetto di discussione fra gli imprenditori e i loro professionisti riguarda la scelta della modalità di insediamento all’estero delle nostre PMI (Piccole Medie Imprese).

In questo contributo spero di poter essere utile a fare un po' di chiarezza in merito, analizzando i profili tributari, in comparazione, della costituzione di una stabile organizzazione estera, piuttosto che della costituzione di una società estera.

In termini generali, è chiaro come la scelta della modalità di insediamento all’estero venga condizionata da una molteplicità di variabili: si pensi ad esempio, al quadro legale del Paese di destinazione, oppure, alla rischiosità del settore economico di appartenenza od ancora alla tipologia di business che si intende porre in essere e alle conseguenti modalità del suo svolgimento.

Il nostro imprenditore che si trova di fronte ad una tale opportunità deve individuare e valutare diverse variabili che possono incidere in prima istanza sul Paese estero in cui insediarsi oltre che sulla forma di insediamento con cui operare all’estero.
Vediamo in sintesi di affrontare tale argomento cercando di semplificare al massimo le problematiche al fine di fare la maggiore chiarezza possibile.

Come la variabile fiscale può influenzare le decisioni strategiche dell’impresa?
La variabile fiscale, molto spesso, assume un ruolo di primo piano nell’assunzione di decisioni strategiche per ogni azienda. Negli ultimi anni, infatti, assistiamo ad una sempre maggiore attenzione agli effetti delle norme tributarie nell’attività di impresa, basti pensare agli effetti legati all’imposizione diretta oppure alle disposizioni antielusive, soprattutto nell’ambito della fiscalità internazionale.
La variabile fiscale, seppur importante, non deve a mio avviso divenire prioritaria in quanto a volte potrebbe condurre a scelte imprenditoriali sbagliate o quanto meno frettolose.
Sono due le principali strutture organizzative mediante le quali un’impresa italiana può insediarsi all’estero:
1. costituzione di una società o entità giuridica partecipata (c.d. controllata estera)
2. costituzione di una stabile organizzazione (c.d. branch)
Queste due forme organizzative, tipiche dell’insediamento all’estero, comportano per l’imprenditore, differenti implicazioni, da un punto di vista giuridico, fiscale, contabile ma anche prettamente strategico e di governance.
1. COSTITUZIONE DI UNA SOCIETÀ CONTROLLATA ESTERA
A far decidere per la costituzione di una società all’estero si possono individuare una serie di elementi valutativi importanti, come:
• la limitazione sotto il profilo giuridico della responsabilità sociale, nonché
• l’autonomia contabile e fiscale della controllata.
A tali elementi di valutazione, se ne possono aggiungere altri legati a norme tributarie di particolare favore, previste in ambito comunitario e internazionale, che consentono di beneficiare, in presenza delle condizioni di legge, della riduzione o esenzione dell’imposizione fiscale sui flussi reddituali che intervengono tra la casa madre e la società controllata.

Vediamo le maggiori agevolazioni normative:
• la direttiva madre/figlia (Direttiva n. 2011/96/UE) in ambito UE per l’esenzione della ritenuta in uscita sui dividendi inter-company;
• le problematiche legate all’esterovestizione societaria di cui all’art. 73-comma 5-bis del DPR n. 917/86 (TUIR);
• La normativa CFC (“Controlled Foreign Company“) contenuta nell’art. 167 del DPR n. 917/86 (TUIR).

La Direttiva madre/figlia: esenzione dalla ritenuta in uscita sui dividendi, interessi e royalty

Nell’ambito di una procedura di internazionalizzazione e di insediamento all’estero attraverso la costituzione di una entità giuridica di diritto esterno controllata da una società italiana diviene interessante l’analisi della disciplina legata alla Direttiva madre/figlia.

Si tratta di una disposizione che, nei rapporti tra società appartenenti alla UE, può portare ad importanti vantaggi, in particolare all’applicazione delle disposizioni previste dalla Direttiva del 30 novembre 2011, n. 2011/96/UE (c.d. Direttiva madre/figlia). In particolare attraverso questa norma è possibile, a determinate condizioni, esentare dall’applicazione della ritenuta fiscale in uscita i flussi reddituali derivanti da dividendi, interessi e canoni inter-company.
A titolo esemplificativo, la citata Direttiva prevede, in presenza delle condizioni di legge, che gli utili di impresa prodotti dalla società “figlia”, dislocata all’estero, possano essere distribuiti sotto forma di dividendi alla società socia di un altro Stato membro comunitario, senza che tale pagamento venga assoggettato a nuovi prelievi tributari.
Tali dividendi sconteranno l’imposizione nel nostro Paese nella misura prevista dall’articolo 89 del DPR n. 917/86 (tassazione sul 5% del loro ammontare).

Le problematiche di esterovestizione societaria nella costituzione di una società controllata estera
Nel caso si decida di costituire una società controllata estera è necessario analizzare la disciplina legata all’esterovestizione societaria, fenomeno che si verifica quando si è in presenza di una costruzione societaria meramente artificiosa avente il solo scopo di eludere l’imposta ordinariamente dovuta in Italia. Sul punto, la norma di riferimento è quella contenuta all’interno dell’articolo 73, comma 5-bis del DPR n 917/86:

“Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, del Codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa: sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, del Codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; sono amministrati da un Consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”.

Il tema della esterovestizione deve essere inquadrato nel più ampio contesto giuridico tributario della residenza fiscale in quanto è uno dei requisiti fondamentali attraverso cui lo Stato esercita la propria potestà impositiva, nei confronti di un determinato soggetto giuridico.
In altri termini a carico del soggetto italiano interviene la c.d. inversione dell’onere della prova ed in caso di accertamento, il nostro imprenditore dovrà fornire gli elementi idonei a dimostrare che la direzione effettiva della società estera è realmente localizzata nel Paese di insediamento o che all’estero vi è l’oggetto principale dell’attività della società controllata.

A titolo esemplificativo, l’imprenditore nazionale dovrà dar conto del fatto che la società estera goda di una propria autonomia decisionale e funzionale e che svolga un’effettiva attività economica nel Paese ove è stata stabilita.

La residenza fiscale delle società
A tale riguardo, l’art. 73, comma 3, del DPR n 917/86, stabilisce che:

“ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.

I presupposti richiesti dalla norma (sede legale, sede dell’amministrazione e oggetto principale) sono fra loro alternativi. Infatti, è sufficiente che uno solo di essi ricorra perché la società sia considerata fiscalmente residente in Italia. Conseguentemente, la società diviene soggetta a tassazione per i redditi ovunque prodotti (principio della world wide taxation).

Accertamento dell’esterovestizione
L’Amministrazione finanziaria ogni anno effettua controlli ai fini di evitare che possano crearsi situazioni potenzialmente elusive sulla norma relativa alla residenza fiscale delle società. In questo contesto, elementi utili ai fini di tale accertamento sono stati forniti dalla Corte di cassazione (sentenza n. 2869 del 7 febbraio 2013). La sentenza ha statuito che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori. Tra di essi, al primo posto figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione della dirigenza societaria e quello in cui si adottano le decisioni della politica generale della società.

La disciplina sulle Controlled Foreign Company (CFC)
Sempre in tema di disposizioni “anti-elusive”, si evidenzia che, a partire dal periodo d’imposta 2010, la disciplina CFC (Controlled Foreign Companies) è stata estesa anche alle società controllate residenti in Stati a fiscalità ordinaria, compresi gli Stati membri dell’Unione Europea e gli Stati SEE. Tale disposizione, introdotta ad opera del Decreto Legge n. 78/2009, è contenuta nei commi 6/7/8 dell’art. 167 del DPR n. 917/86.

Questo articolo dispone la tassazione per trasparenza dei redditi prodotti dalle controllate estere al ricorrere congiunto delle seguenti due condizioni:
• le società controllate estere sono assoggettate a tassazione effettiva inferiore a più della metà rispetto a quella cui sarebbero state soggette ove residenti in Italia;
• hanno conseguito proventi derivanti per più del cinquanta per cento dalla gestione, detenzione o investimenti in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica o dalla prestazione di servizi infragruppo.

Trattasi di una norma volta a contrastare il fenomeno delle c.d. passive company, cioè di società di mero godimento la cui unica finalità è la localizzazione di asset immateriali e finanziari in Paesi ove la fiscalità risulta essere particolarmente favorevole.

Appare evidente, pertanto, di come le sopra citate disposizioni antielusive possano, talvolta, rappresentare un ostacolo o comunque un gravame per l’imprenditore che intenda operare all’estero per il tramite di un’entità giuridica partecipata. Questo a riprova del fatto di come la variabile fiscale svolga un ruolo di primo piano nella scelta della migliore soluzione operativa da attuare.
La creazione di una controllata estera comporta il soggiacere a specifiche disposizioni tributarie antielusive volte a contrastare fenomeni di fittizia localizzazione giuridica finalizzati allo scopo di godere di trattamenti fiscali di particolare favore.

2. APERTURA DI UNA STABILE ORGANIZZAZIONE (“BRANCH “)
La stabile organizzazione è un istituto di diritto tributario che collega ad un determinato Paese estero il reddito derivante da un’attività economica svolta sul suo territorio da un’impresa non residente.
Nell’ordinamento tributario italiano il concetto di stabile organizzazione è stato recepito dall’articolo 162 del DPR n. 917/86.
Questa norma individua la stabile organizzazione come una “sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato (italiano)”.

In particolare, si può affermare che a identificare una stabile organizzazione sono ad esempio le seguenti tipologie di insediamento all’estero:
• una sede di direzione;
• una succursale;
• un ufficio;
• un’officina;
• la presenza di un laboratorio;
• un cantiere di costruzione o di montaggio o di installazione,
• ovvero l’esercizio di attività di supervisione ad esso connesse (nel casi di cantieri o attività che si protraggono per più di sei mesi).
Tale definizione, è bene ribadirlo, è quella prevista dal nostro ordinamento nazionale e quindi vale per i soggetti esteri che operano in Italia anche se essa non si discosta da quella adottata da altri Paesi esteri (in armonia con le previsioni OCSE).

Sotto il profilo meramente civilistico, la stabile organizzazione non risulta specificamente disciplinata assumendo comunemente la veste di sede secondaria della società nazionale e con tale connotazione viene registrata presso il locale registro delle imprese.

La struttura della stabile organizzazione
La stabile organizzazione è dotata di un codice fiscale e di un partita Iva identificativa nello Stato in cui opera mentre da un punto di vista prettamente amministrativo e contabile, tale entità non necessita di un capitale sociale obbligatorio, bensì di un fondo di dotazione idoneo allo svolgimento delle proprie attività.

La stabile organizzazione è obbligata a tenere le scritture contabili ed i registri e libri obbligatori previsti dalla normativa del Paese “ospitante” ed assolvere i relativi adempimenti tributari (presentazione delle dichiarazioni fiscali, eventuali comunicazioni periodiche, etc.). Normalmente non è prevista la pubblicazione di un vero e proprio bilancio, anche se si rende necessario, in ogni caso, redigere uno specifico rendiconto degli utili e dalle perdite riferibili alla stabile organizzazione ai fini della determinazione della locale imposizione fiscale.

Disciplina contabile
Le operazioni della stabile organizzazione debbono essere rilevate nelle scritture contabili della Società italiana per concorrere a determinare il risultato (civilistico) complessivo unitamente alla rilevazione dei propri fatti di gestione. Ai sensi del disposto dell’articolo 14, comma 5, del DPR n 600/1973, i soggetti residenti che gestiscono una stabile organizzazione all’estero sono tenuti a rilevare nella contabilità distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell’esercizio relativi a ciascuna di esse.
È necessario, pertanto, che il sistema contabile della casa madre rediga delle scritture sezionali (libro giornale, conti di mastro e così via) per la separata rilevazione delle operazioni di gestione della casa madre e della stabile organizzazione estera; a tale proposito secondo l’Amministrazione finanziaria, la contabilità separata può essere assunta nella contabilità generale della “casa madre” in vario modo:

• per singole operazioni, ove all’estero si tenga una prima nota: in tal caso, possono essere sufficienti rilevazioni a livello di “mastro”;
• per riepilogazioni periodiche, se all’estero vi è una contabilità sezionale autonoma e regolarmente tenuta;
• assumendo il risultato finale dell’esercizio al cambio di chiusura e ciò sempre nel presupposto che la contabilità sezionale sia regolarmente tenuta. questo previo bilanciamento di tutte le partite attive e passive.

Disciplina tributaria
Passando all’analisi dei profili tributari, vale la pena evidenziare come nel nostro Paese, fino all’introduzione della branch exemption la gestione della fiscalità della stabile organizzazione avveniva unicamente attraverso la tassazione integrale dei redditi dalla stessa prodotti. Su di essi avveniva l’eliminazione della doppia imposizione attraverso il meccanismo del riconoscimento del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in forza del disposto di cui all’articolo 165 del DPR n 917/86.

Branch Exemption
Con l’articolo 14 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 – contenente disposizioni finalizzate a favorire la crescita e l’internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, in applicazione delle raccomandazioni degli organismi internazionali e dell’Unione Europea – è stato introdotto l’articolo 168-ter del DPR n. 917/86.
Questo articolo attribuisce la facoltà, alle imprese residenti nel territorio dello Stato, di optare per l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le proprie stabili organizzazioni all’estero (c.d. branch exemption).

Requisiti della branch exemption
L’articolo articolo 168-ter del DPR n 917/86 prevede che la disciplina della branch exemption sia:
• esercitabile su base opzionale;
• valevole solo come criterio generale nel senso che l’opzione, una volta esercitata, è efficace nei confronti di tutte le stabili organizzazioni di un’impresa residente, siano esse già presenti o costituite in futuro;
• irrevocabile. l’opzione ha effetto sin dalla costituzione della prima stabile organizzazione e si estende di diritto a tutte le altre successivamente costituite fino alla fine della vita della casa madre.

Il reddito imputabile alla stabile organizzazione deve essere, in ogni caso, determinato con osservanza delle disposizioni tributarie nazionali ed indicato separatamente nella dichiarazione dei redditi della casa madre.

Va, inoltre, evidenziato come si rendano comunque applicabili alla branch le regole in materia di CFC con la conseguente tassazione in Italia del reddito che la medesima ha generato nel Paese a fiscalità privilegiata.

Vantaggi della branch per l’insediamento all’estero
Si può desumere, per quanto sin qui affermato, come l’obiettivo del legislatore, attraverso l’introduzione della branch exemption, sia stato quello di garantire alle stabili organizzazioni all’estero di società italiane lo stesso trattamento fiscale applicabile alle società controllate estere.
In sostanza si è cercato di rendere il più possibile neutrale la componente fiscale nella valutazione che l’imprenditore italiano è chiamato ad operare laddove intenda espandere oltre i confini nazionali la propria attività, valutando con estrema attenzione come, per alcuni profili, la scelta di costituire una stabile organizzazione può rivelarsi vantaggiosa dal punto di vista fiscale.
Tale affermazione discende dal fatto che gli utili prodotti dalla branch ed attribuiti alla casa madre non scontano in capo a quest’ultima la tassazione invece prevista per i dividendi distribuiti dalla società controllata ai sensi dall’articolo 89 del DPR n. 917/86 (tassazione sul 5% dell’ammontare distribuito).
Naturalmente, l’esercizio dell’opzione per l’esenzione da imposta nazionale dei redditi della branch non consente alla casa madre di compensare eventuali perdite fiscali che dovessero generarsi in capo alla stabile organizzazione.

Svantaggi della branch per l’insediamento all’estero
La creazione di una stabile organizzazione in luogo di una società controllata estera presenta comunque anche degli svantaggi nell’ipotesi in cui essa dovesse formare oggetto di un’eventuale successiva cessione.

In particolare, nel caso di cessione di una partecipazione in una società controllata è applicabile il regime della participation exemption e, pertanto, l’eventuale plusvalenza realizzata sarà sottoposta a tassazione, in capo al soggetto nazionale, nella sola misura del 5%, mentre il trasferimento di una branch, si configurerà come una cessione di ramo d’azienda per la quale è prevista la tassazione integrale del plusvalore realizzato.

Branch estera: considerazioni
L’opportunità quindi di costituire una branch estera rappresenta una scelta che deve essere ben ponderata dall’impresa nazionale, in considerazione che tale decisione deve poggiare non solo sulla comparazione tra il livello di prelievo domestico e quello dello Stato nel quale si vuole investire ma soprattutto sul piano di strategia industriale che si intende sviluppare.
Da ultimo, deve essere tenuto presente che, in ogni caso, rimane inalterata l’applicazione della disciplina del transfer pricing nei rapporti tra la branch estera e la casa madre italiana, così come previsto nell’ambito dei rapporti tra entità giuridiche dislocate in diversi Paesi. L’introduzione nell’ordinamento giuridico tributario nazionale della branch exemption è finalizzata a rendere neutra, sotto il profilo meramente tributario, la scelta dell’imprenditore in merito alla tipologia di struttura economico-giuridica da adottare per espandere la propria attività oltreconfine.
In sintesi cerchiamo di seguito di esporre in forma tabellare i vantaggi e gli svantaggi delle due diverse forme di insediamento di una filiale estera di una PMI italiana, sottolineando ancora una volta come al di là delle convenienze fiscali e/o di costi di costituzione e mantenimento, l’importanza che sia l’imprenditore a tracciare il piano industriale e le conseguenti strategie di mercato.
Solo dopo avere considerato tutte le variabili si potrà valutare, con un buon grado di approssimazione, il rischio di spostare parte dei propri interessi e del proprio business all’estero: troppe volte l’improvvisazione e la mancanza di tutte le informazioni necessarie si sono rivelate purtroppo decisive per il buon esito dell’iniziativa.


CONTROLLATA ESTERA
Vantaggi
– Limitazione della responsabilità giuridica e patrimoniale verso i terzi;
– Possibile applicazione delle disposizioni convenzionali contro le doppie imposizioni e della Direttiva “Madre-Figlia”;
– Fruizione della participation exemption in caso di cessione della partecipazione.

Svantaggi
– Più elevati costi societari e di governance
– Assoggettamento alla disciplina della “esterovestizione”
– Possibile applicazione delle ritenute alla fonte su interessi e dividendi
– Tassazione in Italia dei dividendi distribuiti nella misura del 5%


BRANCH ESTERA
Vantaggi
– Semplicità della struttura amministrativa
– Ridotti costi societari
– Nessun capitale minimo iniziale
– Nessuna ritenuta alla fonte su “dividendi e interessi”
– Possibilità di optare per la tassazione esclusivamente nel Paese estero (branch exemption)
– Riservatezza in merito alle informazioni patrimoniali e reddituali (nessun obbligo di  pubblicazione dei dati di bilancio)
– Non applicabilità della normativa tributaria in materia di esterovestizione

Svantaggi
– Nessuna limitazione di responsabilità giuridica e patrimoniale verso i terzi
– Irrecuperabilità di eventuali perdite fiscali in caso di opzione per l’esenzione da tassazione italiana
– Gestione contabile separata presso la contabilità della società italiana
– Tassazione integrale della plusvalenza derivante dell’eventuale cessione del business estero
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